La pubblicità che Facebook non ti fa vedere

ryoji-iwata-_dVxl4eE1rk-unsplashPhoto credit: Ryoji Iwata

Pubblicato sul Corriere della Sera, inserto innovazione, il 23/02/2018

Come sarebbe un mondo senza un algoritmo che decide quali pubblicità devo vedere? E soprattutto, quali pubblicità non vedo su Facebook perché non sono considerate in linea con il mio profilo? Ho deciso di fare un esperimento: cercare di scoprire che cosaFacebook non mi mostra. Ho usato l’estensione PAC (Political Ad Collector), un algoritmo creato da ProPublica e curato nella versione italiana da OpenPolis, e istruito a identificare che cosa rappresenta un post politico in uno specifico paese. Il progetto nasce dalla necessità di monitorare dal basso campagne elettorali che, nello spazio digitale, sono sempre più frammentate e sempre meno trasparenti. La nuova pubblicità non è quella fissa dei manifesti o quella che vediamo alla televisione tutti insieme alla stessa ora. E’ piuttosto un costante sforzo di comunicazione capillare, che aggiusta il linguaggio per risuonare in minuscoli gruppi. E’ temporanea, e limitata ad un bacino selezionato di utenti.  L’estensione PAC nota e memorizza in un database i post politici che appaiono sulle homepage di tutti gli utenti che l’hanno installata, e la collezione di inserzioni è aperta per essere consultata dagli altri utenti.

PAC mi presenta quindi quello che Facebook preferisce mostrare ad altri. Tra i post nascosti, trovo parole di candidati, di attori politici o di giornalisti di cui non condivido il punto di vista. Scovo anche anche alcuni aggiornamenti di personaggi che seguo ma il cui contenuto mi riguarda poco – ad esempio, non mi vengono presentati alcuni post che parlano di pensioni. Più in generale, scopro che la politica mi viene presentata daFacebook sotto forma di articoli, ma raramente sono esposta al contatto diretto con le pagine di candidati. Facebook mi protegge dal reflusso gastrico, e però insieme restringe la mia comprensione della realtà.

Decido così di lavorare sull’immagine che  la piattaforma social ha di me, cercando di capire fino a che punto sono io stessa responsabile della mia limitazione. Installo quindi DataSelfie, un’estensione per Firefox che mi indica approssimativamente che cosaFacebook può concludere dalla mia attività. Dopo qualche settimana, l’algoritmo è finalmente pronto per dedurre (e azzeccare) il mio allineamento politico. “E’ facile. Basta guardare quanti secondi ti fermi su un post, i giornali e i personaggi che segui, la musica che ascolti, il linguaggio che usi” mi spiega Fiona Chan, ricercatrice in psicologia sociale al Psychometrics Center dell’Università di Cambridge. DataSelfie deduce poi che sono estroversa, “è per il numero di amici e di foto, e perché ti piacciono pagine di eventi anziché, per dire, la Nintendo” mi spiega Chan. E non solo. DataSelfie sa che è probabile che io sia preoccupata dei cambiamenti climatici, ma anche improbabile che io sia interessata a iscrivermi in palestra. Sarei anche negativa nei confronti della parola “Trump”, e nel comprare prodotti preferirei lo stile al comfort. Facebook mi conosce bene, forse meglio di tanti miei amici. Ma a differenza dei miei amici, non vuole mettermi davanti ad una realtà che non mi piace.

Nella pagina in cui posso gestire le inserzioni, infatti, mi spiega chiaramente che sono i miei interessi a determinare i post che mi vengono sottoposti. Li trovo tutti lì, organizzati in categorie. Dalle news alle persone, dal commercio a luoghi eventi hobby e attività.Facebook mi propone di espanderli, di seguire pagine nuove. Ma i suggerimenti risuonano con gli interessi che ho già espresso, e questo non mi è molto utile se voglio spostarmi dal centro del mio mondo. Poi vedo che basta un click per spegnere del tutto lapubblicità mirata. Forse questa è la soluzione. Clicco. Aspetto per giorni l’entusiasmo di una pubblicità che non mi riguarda, il brivido di una delle inserzioni che prima mi erano nascoste. Ma non arriva nulla. Anzi, continuano ad apparire sulla mia home gli aggiornamenti delle pagine che seguo.

E allora diventa chiaro che la chiave del controllo risiede nei Mi piace. Tra le varie alternative, dall’ignorare al lamentarmi all’accusare, la vera soluzione è la più scomoda: aggiustare il mio comportamento. Per allargare i confini del mio mondo, devo costruire un profilo incoerente, svincolandomi dalla connotazione morale del Like. Il ‘dimmi che cosa ti piace e ti dirò chi sei’ è la ragione per cui il mio mondo si restringe. Il “Mi piace” non è solo uno strumento per urlare al mondo chi sono, ma piuttosto un canale per consentire ad altri di interagire con me. Da qualche giorno interpreto il mi piace come come un “anche se non mi piaci voglio sentire quello che hai da dire.” Anche sono vegetariana mi piacciono le cotolette, anche se sono di sinistra mi piace la destra, e anche se ho un iPhone mi piace Android. E se sento la pressione del giudizio sociale, nelle impostazioni posso sempre smettere di mostrare ai miei amici le mie cosiddette ‘azioni social’, e tenere la mia incoerenza una questione privata tra me e Facebook.

Se un tempo i nostri persuasori dovevano servirsi di megafoni per raggiungere con una sola voce più orecchie possibili, adesso la loro modalità è anzi il sussurro della parola giusta all’orecchio giusto. E allora di fronte alla propaganda mirata, invece che farmi sorda, cerco di moltiplicare le mie orecchie.

© Riproduzione riservata

Published by silvialazzaris

Italian writer based in the UK.

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