“Ma a cosa pensava, mentre era lì che si stava avvicinando?”
“Non so. Ero soltanto grato di rivedere qualcosa là fuori. Alla fine i colori mi hanno sempre incuriosito. E’ il buio che non mi è mai piaciuto. E lì per lo più c’è buio, solo buio. Né notte né giorno. Non scuro, ma nero. Nero più del nero. Quando il panico mi sorprendeva impossessandosi di gambe e braccia, e la testa mi staccava dal corpo e mi faceva cadere nel vuoto come se stessi precipitando pur restando immobile, pensavo che fuori da questa finestrella in realtà ci fosse soltanto un enorme sacco della spazzatura di quelli neri.”
“Un sacco della spazzatura?”
“Sì, mi dicevo, siamo imballati nella plastica al sicuro dentro una stanza e non può succedere niente di male. E il nero è la plastica. Siamo in uno spazio piccolo, forse addirittura sotto terra. Sì anzi sotto terra, coperti dal letame e dal fango! Anche meglio. Da lì si può sempre accelerare, uscire con forza in superficie e rivedere i colori.”
“Curioso. Sentirsi meglio a pensare a spazi angusti fuori da uno spazio già angusto, non riesco bene a capire questo sollievo.”
“Sì, ma non c’entra il fatto che fosse angusto dentro. Dentro quello spazio piccolo mi sentivo come, non so come dire. Devo cercare le parole giuste.”
“Piccolo, insignificante, vulnerabile? Una briciola, un puntino?”
“Una briciola? Ma una briciola in confronto a cosa? A una stanza? A una città? Alla terra? No, non pensavo alle dimensioni. Perché se non puoi confrontarti, se le dimensioni sono talmente grandi che non è possibile metterle a misurare, non ti senti niente. Questo. Mi sentivo una particella schizzata fuori dal suo sistema. Sfuggita alle leggi del suo sistema. Sbagliato. Ero nel posto sbagliato e non mi meritavo la vita. Infatti non avevo una vita. Per questo avevo bisogno di sentirmi ancorato alla terra. Così ancorato da starci sotto, alla terra!”
“Era solo. Forse se qualcun altro fosse stato lì con lei, si sarebbe sentito più vivo.”
“Già. Se non c’è nessun altro con te, è il ‘lì’ che manca. Non c’era un ‘lì con me’. Dov’ero? Boh! Non esistevo. Esistevo a metà. Esistiamo quando stiamo dove la natura ci vuole. In mezzo agli altri uomini, alle piante, all’acqua. Più mi allontanavo, più la mia esistenza diventava liquida e rarefatta. Gassosa. Intangibile. Nessuno sapeva davvero dove mi trovavo, e se c’ero ancora. Nessuno poteva vedermi. E io non potevo vedere nessuno. Non esistevo. Lei ha paura del buio?”
“Da bambina sì. Ora non ci penso tanto. Forse perché alla fine quando sono al buio sono al sicuro dentro casa mia. Da bambina tutte le notti mi faceva paura l’ombra creata dall’attaccapanni sulla parete. Mi sembrava che ci fosse sempre una persona appoggiata al muro in fondo ai piedi del mio letto lì a osservarmi mentre dormivo. Era inquietante.”
“Ecco, questo è l’errore che fanno tutti. E’ normale, ma è un errore. E l’errore è che non era il buio a farle paura, ma un’ombra. Ma vede, nel vero buio non c’è nessuna ombra. Il vero buio riempie tutto e svuota tutto. Inghiotte tutto. Se manca la luce manca tutto. Ma c’è ancora tutto. Non resta niente, eppure c’è tutto. C’è una presenza.”
“Ho sempre pensato a questa cosa in effetti. Che per noi lo spazio è vuoto ed è riempito dalle cose che ci stanno dentro. Per noi l’aria è una specie di vuoto che contiene le cose. Figuriamoci dove non c’è nemmeno l’atmosfera.”
“Ecco infatti. Noi diciamo che nell’universo esistono la Terra, Giove, Saturno, il Sole, la Luna, tutte le altre stelle e diciamo anche le forze che le regolano. E in mezzo c’è il vuoto. E del vuoto non se ne infischia nessuno. E’ un nulla. Ma io questo nulla l’ho sempre sentito pieno.”
“Tutti le hanno già chiesto i dettagli della missione e lei ha già risposto. Le sue risposte trasmettono adrenalina. Ma al di là di tutto io sento che non ho ancora capito nulla, nemmeno se vedo le immagini e i video, nemmeno se leggo gli articoli e la sento parlare. Non mi capacito di cosa possa aver provato quando si è immerso nell’atmosfera e quando, dopo, ha visto”.
“Cos’ho provato? Niente.”
“Ma come niente?”
“Niente perché non esiste un modo per dirlo, e quindi neanche per pensarlo.”
“Nel senso che non ci sono parole adatte per descriverlo?”
“Nel senso che quando ho visto quello che ho visto, non esistevo. Ero rarefatto. Non ero un essere umano con la mia cultura, con il mio passato, con il mio futuro. Non ero un essere umano con il mio linguaggio, con la mia etica, con i miei desideri, con le mie ansie. Tutto quello, tutto me stesso, non mi serviva a niente. Provare qualsiasi cosa avessi mai provato in vita mia, pensare qualsiasi cosa, immaginare qualsiasi cosa, non mi serviva a niente.”
“Quindi non aveva neanche paura?”
“Certo che avevo paura. Ma non sapevo nemmeno di cosa. Era una paura primordiale, era angoscia. E primordiale non è nemmeno la parola adatta, perché lo riferiamo sempre a qualcosa di terreno. Io ero terreno ma non ero più terreno, io ero sbagliato, ero nel posto sbagliato. Ero una particella scappata al proprio sistema e immersa in un altro. Dove non era benvenuto perché senza categorie per capirlo, senza un pensiero adatto a comprenderlo. Non avrei mai pensato di trovare quello che ho trovato. Era impossibile prevederlo”.
“Cos’è stata la prima cosa che ha visto, su Giove?”
“I miei colleghi avevano stabilito che dalla grande macchia rossa sarebbe stato più facile entrare. Quando sono uscito al di sotto dell’alone rosso ho visto un meccanismo indistinto in movimento. Tutto era indistinto perché non conoscevo le parti, non sapevo riconoscerle. Ho percepito che qualcosa funzionava al contrario rispetto a quello che vediamo noi, tutto stava leggermente staccato dalla superficie del pianeta, ma non poteva salire. Non c’era nessuna forza di gravità. Una forza contraria, una fortissima pressione atmosferica che mi spingeva giù e mi teneva attaccato. Poi ho iniziato a riconoscere le parti, e ho capito che erano vive. Tutto era vivo.”
“Ha provato a comunicare?”
“No, non sono riuscito. Io ero nel posto sbagliato. Tutto ha iniziato ad andarmi storto, come ho già raccontato a tutti. Non so se fosse per la volontà di qualcuno o qualcosa. Ma ho visto che è cambiato qualcosa, da quando sono arrivato. L’ambiente percepiva che c’era qualcosa di sbagliato e provava a debellarlo o espellerlo. Io mi sono lasciato espellere. Ed è comunque un miracolo se sono di nuovo qui. Non sono andato lì per piantare una bandierina, scendere, sentirmi potente. Tutto il contrario, in effetti. Quelli che fanno così sono uomini sciocchi, privi di anima.”
“Quindi non ha fatto nulla?”
“Prima di partire mi ero promesso che avrei detto qualcosa di vero e di onesto. Non sono un poeta e non sono un filosofo. Avevo paura di non saper usare parole abbastanza belle, abbastanza appropriate. Ma poi quando sono arrivato lì mi sono reso conto che di parole proprio non ce n’erano da usare e quindi non contava esser un poeta o no. E allora ho detto la cosa più vera che mi è venuta in mente. Mi pare d’aver detto qualcosa del tipo ‘io sono un omino che non ha capito nulla e non merita d’esser qui’”.
“Sarà anche un omino, ma se lo meritava più di tutti gli altri omini del mondo. Quindi non tornerà?”
“No, non tornerò. Non ne ho più bisogno”.
“Ah no?”
“No. Mi sono spinto ai limiti del cielo dove finisce l’azzurro per farmi inghiottire dal nero e poi per calarmi in un altro cielo, perché volevo scoprire la verità. Perché ero così arrogante da pensare di poterla trovare da solo e per tutti quanti. Ma la verità che ho scoperto è diversa. Non si serve di categorie né di linguaggio.”
“So che non si serve di linguaggio, ma c’è un modo per provare a dirci qual è questa verità?”
“La verità è che il vuoto è pieno. Che tutto è vivo e indivisibile. La verità è che tutto c’è. Altri andranno a scoprire cosa non sono riuscito a scoprire io e da ora in poi tutto cambierà. Ma quello che non sono riuscito a scoprire mi è bastato per ritirarmi dalla vita negli astri. Per rendermi di nuovo curioso nei confronti della vita, quella terrena. Senza dover guardare il cielo, ma guardandomi intorno e vivendo nell’aria. E sentire che c’è”.